Milton Glaser. “Dieci cose che ho imparato”

Posted on:settembre 2, 2015

Author:stefania

Category:Design

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Milton Glaser (New York, 26 giugno 1929) è l’incarnazione del graphic design americano dalla seconda metà del novecento ad oggi. La sua presenza e l’impatto sulla professione a livello internazionale è formidabile. Tra i maggiori grafici dell’età contemporanea, principalmente conosciuto per il celeberrimo logo I Love New York (1976), i suoi poster di Bob Dylan (1967, che vendettero oltre 6 milioni di copie divenendo un’icona della gioventù anni sessanta e settanta). Con Clay Felker ha anche fondato il New York Magazine nel 1968 (Wiki).

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1) Lavora solo con persone che ti piacciono

Questa è una regola strana e mi ci è voluto del tempo per impararla. All’inizio della mia carriera pensavo che fosse vero il contrario.  Il professionismo significava che le persone per cui lavoravi non dovevano esserti particolarmente simpatiche o almeno che dovevi tenerti a debita distanza. Per me significava che non avrei mai pranzato con loro né li avrei visti in altre occasioni sociali. Qualche anno fa ho capito che era vero esattamente l’opposto. Ho scoperto che tutto il lavoro che ho fatto e che ha un qualche significato era il risultato di una relazione positiva, affettiva, con il cliente. Non sto parlando di professionalità, ma di affetto. Sto parlando di un cliente con cui si condivide qualcosa. La tua visione della vita deve essere in qualche modo coerente con quella del cliente. Altrimenti è una battaglia acida e senza speranze.

 

2) Se puoi scegliere, scegli di non avere un’occupazione

Una notte ero seduto nella mia macchina fuori dalla Columbia University, dove mia moglie Shirley studiava antropologia. Mentre aspettavo ascoltavo la radio e sentii un intervistatore chiedere: “Ora che hai 75 anni, hai dei consigli da dare agli ascoltatori che si preparano a entrare nella vecchia?” Una voce irritata rispose: “Perché di questi tempi tutti mi fanno domande sulla vecchiaia?”. Riconobbi la voce, era quella di John Cage. Sono sicuro che molti di voi sanno chi fosse ? il compositore e filosofo che influenzò persone come Jasper Johns e Merce Cunningham e il mondo della musica in generale. “Io so come prepararmi alla vecchiaia”.
“Non trovarti mai un’occupazione. Perché se ti trovi un’occupazione un giorno qualcuno ti porterà via il tuo lavoro e tu sarai impreparato alla vecchiaia. Per me, è sempre stato così da quando avevo 12 anni. Mi sveglio al mattino e mi chiedo cosa dovrò fare per guadagnarmi da vivere quel giorno. Lo faccio ancora oggi che ho 75 anni. Mi alzo e mi chiedo cosa fare per guadagnarmi da vivere. Quindi, sono molto preparato per la vecchiaia”.

 

3) Certe persone sono tossiche. Evitale

Questo è un sottotesto del punto uno. Negli anni 60 c’era un uomo, Fritz Perls, terapista della Gestalt, una terapia che affonda le sue origini nella storia dell’arte. Suggerisce che tu debba capire il “tutto” prima di capire i dettagli. Devi guardare all’intera cultura, l’intera famiglia, l’intera comunità ecc ecc. L’idea di Perls era che in tutte le relazioni, le persone potevano essere o tossiche oppure potevano nutrirsi a vicenda. Non necessariamente la stessa persona sarà tossica o positiva in ognuna delle sue relazioni, ma qualsiasi relazione tra due persone si traduce o in una relazione tossica o “nutriente”. La cosa importante è che c’è un test per determinare se la persona con cui avete una relazione, in quella relazione è tossica o positiva. Eccolo: dovete passare un po’ di tempo con questa persona, andare a bere qualcosa o a cena o a una partita di calcio. Non importa, ma alla fine dovete chiedervi se vi sentiti più o meno energizzati. Se siete più stanchi, siete stati avvelenati. Se avete più energia, siete stati nutriti. Il test è praticamente infallibile e vi suggerisco di usarlo per il resto della vostra vita.

 

4) La professionalità non è abbastanza e il buono è nemico dell’ottimo

All’inizio della mia carriera ambivo a essere un professionista, era la mia unica aspirazione, i professionisti sembravano sapere ogni cosa e venivano anche pagati per questo. Dopo aver lavorato per un po’ scoprii che la professionalità poteva essere un limite. Dopo tutto, ciò che la professionalità davvero significa è “riduzione dei rischi”. Se vuoi farti riparare la macchina, vai da un meccanico che sa come risolvere un problema di trasmissione e che dimostra la stessa capacità ogni volta che vai da lui. Se hai un tumore al cervello probabilmente eviterai il chirurgo che dice di voler sperimentare sui tuoi neuroni un nuovo modo di connettere le cellule.
Per favore, fatelo nel modo che si è dimostrato finora valido.
Purtroppo nel nostro campo, che chiamiamo creativo (una parola che odio perché troppo spesso viene usata a sproposito), non funziona esattamente così. Se fai qualcosa in modo ripetitivo, per diminuire i rischi o lo fai addirittura nello stesso modo, è chiaro che non funziona.
Nel nostro campo la professionalità non è sufficiente. Ciò che più ci viene chiesto è di trasgredire continuamente. La professionalità non permette questo perché la trasgressione ha in sé il rischio del fallimento, e l’istinto naturale di un professionista è di non fallire, di ripetere i successi che ha ottenuto in passato. Quindi aspirare al professionismo per tutta la vita è un obiettivo limitato.

 

5) Meno non è necessariamente più

Poiché sono un figlio del modernismo ho sentito il mantra “less is more” per tutta la mia vita. Un giorno mi sono svegliato e ho capito che non aveva alcun senso, è una sentenza assurda e forse senza significato. Ma suona fantastica, perché contiene un paradosso di cui non si riesce a venire a capo. Ma se guardi alla storia dell’arte non ha senso. Se guardi a un tappeto persiano non puoi dire less is more, perché capisci che ogni parte di quel tappeto, ogni cambio di colore, ogni sfumatura nella forma, è essenziale per il successo estetico di quell’oggetto. Non potrai mai dimostrare che un tappeto blu in tinta unita è più bello. Lo stesso vale per le opere di Gaudi, per le miniature persiane, per l’art nouveau e per ogni altra cosa.
Però posso proporre un alternativa al mantra, che mi sembra più appropriato: “just enough is more” (appena sufficiente è di più).

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6) Non bisogna fidarsi dello stile

Credo che questa idea mi sia venuta per la prima volta guardando una meravigliosa incisione di un toro fatta da Picasso. Era fatta per illustrare una storia di Balzac chiamata Il capolavoro nascosto. Sono sicuro che tutti conoscete quel toro. E’ un toro che viene descritto in 12 diversi stili, da una versione molto naturalistica del toro fino a un’astrazione assolutamente riduttiva fatta con una singola linea. Tra i due estremi ci sono dieci versioni. Ciò che è evidente guardando queste opere è che lo stile è irrilevante. Tutte le versioni del toro, da quella di più estrema astrazione a quella di più acuto naturalismo, sono straordinariamente slegate dallo stile. E’ assurdo essere fedeli a uno stile. Uno stile non merita fedeltà. Devo dire che per vecchi professionisti questo è un problema, perché oggi la nostra professione è spinta da considerazioni economiche più che da qualsiasi altra considerazione. I cambiamenti di stile in genere sono legati a fattori economici, come sa chi tra voi ha letto Marx. E poi compare sempre una certa stanchezza nelle persone quando vedono la stessa cosa per troppo tempo. Quindi ogni dieci anni circa c’è un cambiamento di stile e le cose vengono fatte in modo da sembrare diverse. I caratteri passano di moda o diventano di moda. Se sono molti anni che lavori come grafico, hai il problema di come comportarti.
In fondo, ognuno di noi sviluppa un suo vocabolario, una forma che è solo sua. E’ un modo per distinguerti dai tuoi pari e per crearti un’identità nel settore. Come mantenerti fedele ai tuoi canoni e a ciò che ti piace fare diventa un atto di equilibrismo. La scelta tra scegliere il cambiamento o mantenere la tua forma distintiva diventa difficile. Abbiamo tutti visto il lavoro di illustri professionisti passare d’un tratto di moda. Anche se più precisamente, non passa di moda, non invecchia, ma sembra a un tratto appartenere a un altro momento storico. Ci sono storie tristi come quella di Cassandre, sicuramente uno dei più grandi grafici del ventesimo secolo. Verso la fine della sua carriera nessuno gli commissionava più lavoro e si suicidò.. Il punto è che chiunque sia e voglia restare in questo campo per molto tempo deve decidere come rispondere allo zeitgeist. Cosa si aspettano ora le persone, che prima non volevano? E come rispondere a questo desiderio in un modo che non cambi il tuo senso di integrità, coerenza, scopo.

 

7) Il tuo modo di vivere cambia il tuo cervello

Il cervello è l’organo più reattivo del nostro intero organismo. E’ inoltre l’organo che più è sensibile ai cambiamenti e alla rigenerazione di tutti gli organi del nostro corpo. Un mio amico, Gerald Edelman, è stato un grande professore di anatomia del cervello e dice che fare un’analogia tra il cervello umano e i computer è semplicemente patetico. Il cervello è piuttosto simile a un giardino fin troppo rigoglioso, che continua a crescere, che continua a ricevere sementi e a farli germogliare, rigenerandosi in continuazione. Edelman crede che il cervello sia suscettibile, in modi di cui non siamo pienamente coscienti, rispetto a qualsiasi esperienza facciamo e a qualsiasi incontro facciamo.
Qualche anno fa rimasi colpito da un articolo in un giornale che parlava dell’intonazione perfetta. Un gruppo di scienziati aveva deciso di capire perché certe persone sono perfettamente intonate. Alcune persone sono in grado di ascoltare una nota e di riprodurla con la stessa esatta intonazione. Alcuni hanno una buona intonazione, ma l’intonazione perfetta è molto rara anche tra i musicisti professionisti. Gli scienziati scoprirono (non so come fecero ma lo fecero) che il cervello delle persone che hanno un’intonazione perfetta è diverso. Certi lobi del cervello presentavano un particolare tipo di deformazione, comune a tutte le persone perfettamente intonate. Questo di per sé era una cosa affascinante. Ma poi scoprirono qualcosa di ancora più affascinante. Se prendi un gruppo di bambini di 4 o 5 anni e gli insegni a suonare il violino, dopo qualche anno alcuni di loro sviluppano l’intonazione perfetta e se osservi il loro cervello, i lobi sono cambiati.
Cosa significa questo per tutti noi? Tendiamo a credere che la mente influenzi il corpo e che il corpo influenzi la mente, ma non crediamo che tutto quello che facciamo abbia una conseguenza sul cervello. Sono convinto che se un uomo inveisse contro di me dall’altro lato della strada il mio cervello potrebbe subirne un qualche effetto e la mia vita potrebbe essere diversa.
Ecco perché le mamme ci suggeriscono di evitare le cattive compagnie. Hanno ragione.
Il pensiero cambia la nostra vita e il nostro comportamento. Penso che il disegno funzioni nello stesso modo. Sono un grande sostenitore del disegno, non perché penso che tutti debbano diventare illustratori, ma perché credo che il disegno cambi il cervello esattamente nel modo in cui la ricerca della nota perfetta cambia il cervello di un violinista.
Il disegno inoltre ti rende più attento. Ti costringe a fare attenzione a ciò che stai guardando, che non è una cosa facile.

 

8) Il dubbio è meglio della certezza

Si parla sempre dell’importanza di essere sicuri, convinti, di ciò che si fa. Mi ricordo che una volta, durante una lezione di yoga, un maestro yogi ci disse che, spiritualmente parlando, se pensi si aver raggiunto l’illuminazione, in realtà sei semplicemente arrivato a vedere il tuo limite. Credo che lo stesso valga anche nella realtà non spirituale. Convinzioni profondamente radicate, di qualsiasi tipo siano, ti impediscono di essere aperto a nuove esperienze, ed è questa la ragione per la quale diffido grandemente di tutte le posizioni ideologiche. Credo che essere scettici e mettere in dubbio qualsiasi profonda convinzione sia essenziale. Certo, dobbiamo conoscere la differenza tra scetticismo e cinismo perché anche il cinismo è una limitazione della propria apertura mentale verso il mondo, proprio come una convinzione troppo radicata. Scetticismo e cinismo sono una sorta di gemelli.
E da un punto di vista pratico, risolvere i problemi è molto più importante che avere ragione. C’è un diffuso senso di essere nel giusto nel mondo dell’arte e del design. Forse inizia a scuola. Spesso gli istituti d’arte o le scuole di design iniziano con il modello di Ayn Rand, secondo cui una personalità singola può contrastare le idee della cultura che lo circonda. E’ una teoria vera fino a un certo punto. Secondo la teoria dell’avanguardia un individuo può cambiare il mondo, ma è vero fino a un certo punto. Uno dei segnali da cui capire che un ego è stato danneggiato è la certezza assoluta. Le scuole incoraggiano l’idea di non scendere a compromessi e difendere il tuo lavoro a ogni costo. Ma in realtà quando si lavora scendere a compromessi è la cosa più importante.
Devi sapere come scendere a compromessi. Perseguire ciecamente i tuoi obiettivi, le tue idee, esclude la possibilità che gli altri abbiano una qualche ragione e questo mette in discussione il modello in cui noi grafici sempre ci muoviamo, che è di fatto una triade: il cliente, l’audience e tu. Idealmente, cercare di soddisfare tutti con successivi passi e compromessi è desiderabile. Ma l’alta considerazione di sé è spesso un nemico. L’alta considerazione di sé e il narcisismo in genere nascono da un trauma infantile, e questi sono argomenti che non voglio trattare. Perché sono temi che ricorrono di continuo nella vita delle persone. Alcuni anni fa lessi una considerazione sulla natura dell’amore, che si applica anche alla natura della coesistenza tra esseri umani più in generale. Era una citazione di Iris Murdoch, usata per scrivere il suo necrologio. “Amare significa raggiungere la difficilissima consapevolezza che qualcosa oltre a noi stessi è reale”. Non è fantastico? Sono le parole più profonde che io abbia mai sentito sull’amore.

 

9) Sull’invecchiare

L’anno scorso mi hanno regalato un saggio di Roger Rosenblatt, Invecchiare con grazia. Sul momento il titolo non mi piacque per niente, ma devo ammettere che il libro contiene una serie di regole per invecchiare con grazia.
La prima regola è anche la migliore: La regola numero uno è “Non importa”. “Segui questa regola e ti allungherai la vita di dieci anni. Non importa se sei in ritardo o in anticipo, se sei qui o lì, se l’hai detto oppure no, se sei stato intelligente o stupido. Se un giorno ti svegli con dei capelli inguardabili e non importa se il tuo capo ti guarda come se fossi un marziano, non importa se lo fa la tua fidanzata o il tuo fidanzato o se tu ti guardi come se fossi un marziano. Se ricevi una promozione, un premio, se compri una casa o non lo fai. Non importa”. Finalmente un po’ di buon senso. (…)

 

10) Dite la verità

(…) cercare del cavolo in una macelleria è un po’ come cercare un’etica nel campo del design. Né un luogo né l’altro sono adatti a trovare ciò che si vuole. E’ interessante notare che nel nuovo codice etico dell’Aiga ci sono molte informazioni su quello che viene definito un comportamento appropriato verso i clienti e gli altri grafici, ma non c’è una sola parola sulla relazione con il pubblico. Diamo per scontato che un macellaio ci venda della carne commestibile e che non spacci la sua merce per ciò che non è.
Ho letto da qualche parte che negli anni di Stalin in Russia ciò che era etichettato come manzo era in realtà pollo. Non voglio immaginare cosa fosse ciò che era etichettato come pollo. Accettiamo tranquillamente alcune bugie, come la quantità di grasso realmente contenuta in un hamburger, ma se un macellaio anche solo una volta ci vende della carne avariata, andiamo da un altro. Chi stesse pensando a creare un albo professionale per il nostro settore dovrebbe ricordare che l’idea di albo nasce per proteggere il pubblico, non i grafici o i clienti. “Non fate del male” è un monito che vale per i dottori nel rapporto con i loro pazienti , non con i loro colleghi medici o con le ditte farmaceutiche. Se avessimo un albo, forse dire la verità tornerebbe al centro della nostra attività.

Fonte: http://www.designplayground.it/

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One comment
  • Stefano
    Posted on ottobre 6, 2015 at 3:39 pm

    x me un mito.
    riflettete gente..

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